Double Deux

 » Le corps est chaud ou froid, ce sont les tensions entre ces deux pôles qui créent le mouvement dans l’univers. Les corps chauffent dans l‘effort, ils montent en température.

Entropie des corps. L’univers tend vers le tiède, et son propre mouvement alors s’arrêtera « . (Gilles Jobin)

E proprio sul concetto di entropia, derivato dalla fisica e utilizzato per spiegare il livello d’energia esistente in uno stato disordine, Gilles Jobin fonda questa sua ultima creazione, Double Deux , che è stata per lui in un certo senso anche una sfida dato che mai sinora aveva lavorato facendo interagire tra loro delle coppie di ballerini. Dodici danzatori appaiono già pronti in scena, una scenografia scarna priva di qualsiasi sfondo scenico.

Non si ha il tempo di vederli disporsi sul rettangolo scenico che, accompagnati da una musica binaria basata sul ritmo delle percussioni scandito da suoni ora simili a un battito cardiaco ora come fossero gocce d’acqua pronte a cadere, iniziano a far interagire i loro corpi. Si cade, ma con estrema leggerezza, ci si rialza come se le leggi gravitazionali fossero vinte da questa grande energia, dalla pulsione del movimento che ne risulta vittoriosa.

Giochi di tensioni, la stessa forza di gravità che viene sfidata con successive sequenze di cadute al suolo sono caratteristiche di questa coreografia, soprattuto nella prima parte. Infatti idealmente vedendo lo spettacolo si possono ritrovare quattro parti, che possono identificare quattro momenti diversi di ricerca del coreografo svizzero. A questa prima parte molto incentrata sul prendere via via coscienza dei rispettivi corpi, sul « sentirsi » di ciascuna coppia come oggetti fisici con tutte le caratteristiche materiali e soggetti alle leggi fisiche, ne segue una seconda in cui le relazioni corporali diventano qualcosa di più intenso e personale.

Il contatto fisico e le sensazioni che ne derivano trovano una loro forma ben specifica, il reciproco toccarsi non è più solamente un gioco conoscitivo, una sfida alla resistenza e alla forza fisica ma un modo per vivere tutto questo anche rievocando immagini di atti sessuali. E’ un modo questo per unire ancora di più la coppia di ballerini, per cercare di portarli sul medesimo livello di energia. Ed è proprio questa sensazione di omogeneità, di perfetta sintonia accompagnata da un’estrema fluidità in tutti i cambi di posizioni che si avverte vedendoli. C’é come si diceva una terza parte ideale, in cui si ha la sensazione di ritornare ai registri della prima, alle sue immagini, ma con una differenza. Sembra ci sia un distacco di ciascun ballerino dal proprio partner per esplorare questa volta lo spazio, ciascuno con le proprie forze. Con le braccia, le gambe i busti, i singoli danzatori creano linee, disegnano lo spazio, e sorprende come la fisicità dei loro corpi scompaia; tutto sembra così ben equilibrato, perfetto dominato solo da un’energia pura che scorre nei loro corpi, dalla punta di ciascun dito delle loro mani sino al tallone. Sorprendente è come emerga incontrastato il concetto di gruppo, dominato da un ordine perfetto nonostante ciascuno viva il proprio spazio in maniera differente. Un caos apparente in cui l’amalgama dei corpi fa apparire agli spettatori non dodici danzatori ma una materia, un magma unico che via via prende forme differenti grazie ai rischi e ai limiti estremi che ciascun danzatore ricerca col suo corpo.

L’ultima parte, segna il ritorno all’inizio, è come un cerchio che si chiude, un’esplorazione interessante ed intensa che raggiunti i suoi risultati vuole ricominciare verso nuovi itinerari. Un lavoro di Jobin questo, segnato da una circolarità evidente, ma anche una sfida allo sforzo, alla resistenza fisica e all’esaurimento che trovano i loro avversari invincibili in una grande energia e tensione fisica.

Parigi, Thêatre de la Ville 10 febbraio 2007

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