Lifar-Petit-Béjart

Tre estetiche e concezioni di pensare la danza sono alla base di questo nuovo spettacolo in programma all’Opéra Garnier di Parigi. Si tratta infatti di un trittico che comprende Suite en Blanc di Serge Lifar, L’Arlesienne di Roland Petit e il Boléro di Maurice Béjart.

Dicevamo tre estetiche diverse dato che il primo balletto é un inno alla bellezza e alla purezza delle linee classiche ; il secondo, tratto da una delle novelle di Alfonse Daudet contenute nelle Lettres de mon moulin ha una struttura narrativa e il terzo rappresenta in un certo senso un’unione perfetta tra espressività del gesto e ritmo musicale.

La coerenza di questo progamma cosi eterogeneo sta proprio nel dimostrare come il linguaggio coreutico anche concepito su piani differenti possa mantenere la sua unicità e il suo valore sebbene si tratti di stili differenti.

E entriamo nel vivo delle tre opere. Apparso per la prima volta nel 1909 grazie a Fokine Suite en Blanc riprendeva in un certo senso i temi del balletto classico apparsi nella Silfide, il tutto accompagnato da musiche di Chopin.

Dopo altre versioni come quella di Clustine (Suite de danses,1913), maître de Ballet de l’Opéra di Parigi, di Aveline (1931) e di Staats (Soir de fête) altro maître de Ballet de Paris ispiratosi alle musiche di La Source di Delibes, é la volta di Serge Lifar che riprende i principi dei suoi predecessori cercando di metter ancora più in valore la scuola di balletto dell’Opéra, partendo dal balletto Namouna su musiche di Lalo messo in scena all’Opéra nel 1882. Busti in avanti, arabesque, tutù lunghi, ma anche diagonali che rompono i canoni classici e passi a tre in cui i danzatori maschili sono protagonisti. Visioni e immagini di purezza sono i cardini di quest’opera che ha visto soprattutto brillare le étoiles Agnés Letestu e Aurélie Dupont, vere delizie del palcoscenico con la loro grazia, tecnica ed eleganza.

Tutt’altro scenario con l’Arlesienne rapresenntato per la prima volta nel 1872 a Parigi su musiche di Bizet e messa in scena di Louis Carvalho.

Il fulcro di questo balletto sta nella scena finale. In un certo senso una scena parallela alla pazzia di Giselle che scopre il tradimento del suo principe.

Nell’Arlesienne, Frederi, interpretato magistralmente da Benjamin Pech, esprime la sua follia, il suo cuore é ormai svuotato da ogni sentimento a seguito della scoperta dell’antecedente promessa di matrimonio cui dovrà mantenere fede la sua amata Vivette (Delphine Moussine). La scenografia di Van Gogh rende più stridente gli accenti più tristi e dolorosi di questa storia che dal punto di vista coreografico raggiunge appunto il suo culmine nel finale. Romanticismo quindi con un linguaggio coreutico più contemporaneo e realistico che Roland Petit é capace di elaborare a partire dal testo di Daudet.

Chiude la serata il Boléro, capolavoro di Maurice Béjart interpretato in modo eccellente da Nicolas LeRiche. Su questo balletto é stato già scritto molto, troppo. Dalla musica di Ravel composta nel 1928 e messa in scena per la prima volta da Bronislava Nijinska con l’intepretazione di Ida Rubinstein alla sensualità della gestualità che pervade l’intera opera. Nella sua prima versione é l’Andalusia a caratterizzare e ispirare la coreografa russa. Per Maurice Béjart é invece la Grecia considerata come ponte tra la cultura e occidentale a suscitare l’immaginazione del coreografo francese.

Il filosofo americano Susan Langer nel suo capitolo di Feeling and Form dedicato alla danza parla proprio di cerchio magico riferendosi al potere espressivo e magico della danza.

E come non paragonare e abbinare questo concetto al Boléro di Béjart? Il o la protagonista ( dato che oramai il Boléro é danzato da uomini e donne) emana tutta la sua bellezza a partire dalla suggestive tavola rotonda rossa sulla quale danza l’interprete del balletto.

Il ritmo incalzante, sempre più crescente trova il suo corrispettivo e si omogenea nella sensualità del movimento delle anche, nella forza espressa dai port de bras, nella potenza e nell’elevazione dei sautés, nel demi-plié in quartacon la gamba posteriore in mezza punta che scandisce quasi come un altro strumento ogni passaggio della coreografia.

Non esiste forse opera nella danza di questo secolo che sia stata capace di sintetizzare in maniera cosi perfetta e espressiva il legame tra musica e danza per un risultato che non puó non suggestionare e ipnotizzare il pubblico. E Nicolas LeRiche si rivela interprete perfetto capace di donare al balletto una sua interpretazione ricca di intimità e di un certo potere magico che puó aiutarci a farci comprendere in pieno il valore espressivo dell’arte coreutica.

Parigi, Opéra Garnier 6 Febbraio 2009

Partager
Site internet créé par : Adveris