Lifar /Malandain

All’Opéra Garnier protagonista assoluto di quest’ultimo spettacolo è stato dubbio Lifar; non c’è da stupirsi infatti se il balletto di Malandain può essere apparso un pò in ombra tra i due balletti del maestro russo, così diversi tra loro ma ugualmente intensi.

Suite en Blanc apre le danze, ed è proprio il caso di dirlo, dato che questo pezzo creato come divertissement nel 1943 per una formazione ridotta del Balletto dell’Opéra, resta un elogio raffinato del virtuosismo e della tecnica della Scuola dell’Opéra di Parigi. La musica di Lalo è senz’altro profonda, soprattutto il prologo che viene suonato a sipario chiuso, è capace di creare nel pubblico quella giusta concentrazione necessaria per apprezzare in pieno il susseguirsi dei quadri danzati sul palcoscenico. E’ l’inno del balletto classico, lo testimoniano anche i costumi, i classicissimi tutù bianchi, così come la presenza di una grande varietà di passi accademici. Nell’Adagio non hanno deluso come al solito Aurélie Dupont e Manuel Legris, sempre all’altezza di saper unire perfezione tecnica e grande espressività, risultato di una grande intesa artistica esistente tra loro. Nicolas LeRiche, ha mostrato ancora tutta la sua forza e la sua intensità; Fanny Fiat è apparsa piena d’energia e sicura di sé, tenace nell’esecuzione del pezzo in cui si è esibita come solista; la sua collega Nolwenn Daniel lo è stata un pò meno, in termini sia di incisività che di sicurezza.

Per niente positiva invece Isabelle Ciaravola , al di sotto senz’altro della sufficienza, grande è apparso il dislivello con le altre interpreti presenti sul palcoscenico. Molto bene per il vigore e la vivacità con cui si è resa protagonista Clairemarie Osta, rapida e sicura, forse una delle sue migliori interpretazioni viste sul palcoscenico del tempio parigino degli ultimi mesi.

L’Envole d’Icare di Malandain su musiche di Alfred Schnikkte presenta un linguaggio coreografico del tutto differente, è rottura con la tradizione che aveva contraddisitinto il brano precedente. Infatti il contesto è del tutto contemporaneo, così come la gestualità fatta di linee squadrate e essenziali; niente più virtuosisimi classici, niente danza sulle punte.

L’ispirazione del soggetto nasce dalla storia mitologica di Icaro, metafora della condanna dell’orgoglio dell’uomo e simbolo dell’uomo che aspira a liberarsi da ogni sentimento di pesantezza. Il balletto si apre con la raffigurazione del labirinto che ha un duplice significato: da un lato rappresenta in un certo senso la costrizione in cui si trova a vivere l’uomo, ma nello stesso tempo è anche il luogo e il passaggio obbligato che può condurre Icaro verso la luce. Il Minotauro è il mostro che contrasta il riscatto umano; ma grazie a Teseo, aiutato da Arianna sorella della creatura mostruosa, Icaro può riscattarsi e finalmente lasciare le tenebre a favore della resurrezione verso la luce. Benjamin Pech e Melanie Hurel, gli interpreti principali, non sempre sono sembrati all’altezza e in sintonia con l’atmosfera e la storia del balletto.

Il terzo brano, il secondo in programma di Serge Lifar, Les Mirages del 1944, è molto originale nella sua struttura narrativa, sospeso tra sogno e realtà, in un ambiente in cui prevalgono forme più nette e tonalità più cupe più proprie di un’atmosfera surrealista opposte ai chiaroscuri della tradizione romantica. E’ la storia in cui si racconta l’accesso da parte di un giovane al mondo dei suoi sogni, al solo luogo in cui può vedersi realizzati i suoi desideri, a raggiungere le ricchezze e a trovare l’amore. Ma tutto ciò non dura che una notte: l’Amore non era che un’ombra che lo continuerà però a seguire, e al sorgere del nuovo giorno il giovane si ritrova solo e non può prendere atto della sua condizione reale. Tutto ciò viene accentuato dal crescendo della musica di Saguet che si’innalza verso il cielo come fa il sole all’alba, mentre il palazzo della Luna si volatizza nell’etere.

Agnès Letestu e Karl Paquette sono stati un’ottima coppia, entrambi ben calati nei loro ruoli e capaci di esprimere e danzare con i giusti sentimenti che i rispettivi personaggi della storia richiedevano: fredda, austera, impeccabile nella sua rigidità l’Ombra; dolce e passionale, con tutte le sue debolezze, il giovane. Inoltre certi pas de deux, soprattutto per quanto riguarda alcuni port de bras e pose dell’Ombra rispetto al protagonista maschile, sembrano a rievocare e anticipare alcune scene del balletto di Roland Petit del 1946, Le Jeune Homme et la Mort.

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