Giselle Rossa di Eifman riaccende a Milano gli Arcimboldi

A proposito del suo modo di concepire la danza Boris Eifman, coreografo russo e fondatore dell’Eifman Ballet Theatre ha affermato: « Nell’estetica c’è tutto, ma la bellezza formale del gesto non è fine a sé stessa. Ciò non significa che la qualità plastica della coreografia è meno importante della presenza di intensità drammatica delle situazioni. Credo semplicemente che non si possa concepire la bellezza come una cosa astratta. Quando creo un movimento è ceerto che ho l’idea di creare un’emozione che esprime un sentimento e che quest’emozione passa per forza per un bisogno estetico ». E Boris Eifman, con la sua Giselle Rossa andata in scena il 24 gennaio nel rinato Teatro degli Arcimboldi non si smentisce. E l’aggettivo ROSSA ha una duplice valenza: rosso in russo significa bello, ma evidente è qui il richiamo al dolore, al terrore, al sangue dei giorni della Rivoluzione russa cui la protagonista assistette. Questa Giselle si ispira alla tragica vicenda della ballerina russa Olga Spessivtseva morta a New York nel 1991, che, come la protagonista della Giselle classica, diviene pazza dopo essere stata una stella del balletto classico russo dell’età imperiale a fianco della Pavlova e aver diviso la sua carriera tra le scene del Mariinskij di San Pietroburgo, i Balletti Russi di Diaghilev e l’Opéra di Parigi a fianco dei più grandi ballerini da Nijnskij a Lifar e Anton Dolin. Ma oltre ad una vita artistica molto intensa che le regalò una carriera ai vertici delle scene, fu anche protagonista di una vita privata molto tormentata, vedi per esempio la sofferta storia d’amore con il sanguinario Boris Kaplun, esponente del NKVD, il KGB dell’epoca, la vicenda dell’esilio e la sofferenza della lontananza dalla sua patria cui fu costretta e che forse incisero notevolmente anche sull’insorgere della sua pazzia. Neanche le scene dell’Opéra di Parigi ove lavorò con Serge Lifar e riscosse un grande successo, soprattutto guarda caso interpretando Giselle (1924), riuscirono a sanare quella ferita interiore che via via diveniva sempre più grande. Una creatura cui senza dubbio mancò la libertà di costruire la sua vita in base ai suoi desideri, e che probabilmente non riuscì mai a soddisfare completamente il suo bisogno di espressività. Queste dunque le caratteristiche del personaggio interpretato oggi in modo intenso e drammatico da Vera Arbuzova: in effetti ciò che si vede è uno spettacolo che ha dalla sua una grande teatralità. Il lavoro e l’impronta di Eifman, coreografo–filosofo come viene definito, si vede proprio qui, soprattutto nella sua capacità di far esprimere intensamente il corpo sfruttando al massimo la plasticità del fisico dei ballerini. Infatti nelle scene più tragiche la ballerina è chiamata a compiere movimenti che veramente toccano i massimi della flessibilità delle articolazioni del suo corpo. A differenza del teatro di Stanislavsky – come ha affermato lo stesso Eifmann – il suo teatro affonda le sue radici nel mondo delle emozioni e dei sentimenti, è meno legato alla realtà. Ecco perché predilige temi come quello della pazzia per l’appunto, considerata non come una patologia ma come una sorta di mondo fantastico ove poter realizzare i propri sogni. Sembra quasi che questo sforzo fisico sia metafora visibile della sofferenza interiore vissuta. Dei due atti il primo è più uniforme nel suo svolgersi, l’impronta classica è più marcata, anche se nei brani più contemporanei la gestualità è molto accentuata e viene data molta enfasi agli avvenimenti che vengono in questo modo rappresentati grazie anche all’interpretazione del Corpo di Ballo. Il secondo è praticamente dedicato alla pazzia di Olga nei due aspetti che la coinvolgono direttamente: quello artistico legato alla Giselle del palcoscenico con un richiamo evidente nelle scene e nella coreografia alla versione classica, quello vero che l’accompagnerà fino alla sua morte, vissuto e interpretato in scena al cospetto di una cupola di specchi. Scelta azzeccatissima anche quella delle musiche, di Cajkovsky (per richiamare la tradizione russa), Bizet (per un ricordo del periodo francese) e Schniktte, (musicista contemporaneo che non abbandona risvolti classici), che costituiscono grazie alle loro tonalità profonde un’ottima colonna sonora per farci compiere un salto nel passato e far rivivere sul suo amato palcoscenico con un velo di malinconia l’anima di questa grande ballerina russa.

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