Tempo 76

Risulta difficile intepretare le intenzioni o le finalità di Mathilde Monnier di fronte alla sua ultima creazione Tempo 76. Numerose volte in passato lei stessa come alti coreografi contemporanei avevano più volte professato di superare il sincronismo, l’unisono, simboli questi di rimando al balletto classico.

Come allora porci di fronte a questo lavoro?

Penso che due possano essere le chiavi di interpretazioni.

La prima ci fa apprezzare di questo lavoro la sua chiarezza e limpidezza che gli derivano da una semplicità gestuale che non perde mai di efficacia. Anche la scenografia, un prato all’inglese, dona una certa atmosfera di tranquillità e di uniformità.

Sotto questo punto di vista non si può che restare affascinati dalla precisione perfetta, come quella di un metronomo, della ripetitività dei gesti fra tutti i protagonisti.

Venendo invece alla seconda possibile interpretazione che supera forse anche di più della prima gli aspetti più esteriori o estetici di questo pezzo, potremmo chiederci: ma cosa c’è di danza in tanta ripetitività, qual’è il significato di tutto ciò che vediamo in scena?

C’è forse un aspetto sociale? Si sa che oggi siamo, chi più o chi meno uniformati nei nostri ambienti di vita che ci portano a comportarci « all’unisono » nei luoghi che frequentiamo.

Ma restiamo su questo punto, il messaggio di Mathilde Monnier poteva essere di gran lungo approfondito e reso in maniera ancora più teatrale, tanto più che le musiche sobrie di Gyorgy Ligeti ben lasciano spazio alla creatività e alla libera espressione dei danzatori senza sopraffarle.

Paris, Théâtre de la Ville, le 9 octobre 2007

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